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Call for papers

 

Call for papers per “Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio” 2024:

Un mondo diverso

 

Introduzione

È il momento di ripensare il nostro mondo con l’idea che si smetta di costruire disuguaglianze e si impari a rispettare – e magari ad apprezzare – le diversità -, un mondo da immaginare e da realizzare con il senso di giustizia sociale di cui ci parla Amartya Sen nel senso di dare ad ogni persona la possibilità di realizzare la propria diversità.

Il mondo in cui viviamo è un sistema molto complesso: le scelte che facciamo riguardano un sistema globalizzato, come ha sostenuto Zygmunt Bauman, avvenuto così in fretta da non dare a molti di noi il tempo di rendersi conto delle trasformazioni in atto, e il sistema socio-economico e politico sembra sordo a un cambiamento di prospettiva; la resistenza è forte a non dialogare con la cittadinanza attiva e motivata, come dimostra il carente investimento nei centri di conoscenza in grado di elaborare analisi e prospettare soluzioni. Si tratta di cambiare passo di fronte ad una politica neoliberista, quello che espropria la voce della collettività per concentrare le decisioni nelle mani dei pochi. È necessario coinvolgere le persone, prendersene cura, ascoltarle, colmare la lacerazione profonda che si è creata con il mondo della scuola.

Perché queste tesi non siano considerate utopistiche abbiamo l’esempio di Altiero Spinelli, che nel pieno della sanguinosa guerra mondiale immaginò l’Unione Europea. Gustavo Zagrebelsky ci ha avvertito del pericolo di perdere la democrazia per affidarci all’uomo forte: un combinato esplosivo che preme sulla emotività e ci fa scegliere le soluzioni facili.

Sentiamo l’esigenza di irrobustire una cittadinanza attiva attraverso una articolazione territoriale per intercettare le esigenze delle persone che vivono nelle periferie, nelle città, nelle campagne. È necessario sostenere una discussione pubblica e dare un contributo di sperimentazione democratica su queste gravi problematiche. Per l’annata 2024 di “SASL” proponiamo in particolare una riflessione su due questioni ad esse correlate: l’identità di genere e i diritti dei migranti, da concentrare ciascuna nei due distinti fascicoli dell’annata.

- La Redazione

Seguono a questa di carattere generale e introduttivo le due schede di contenuti specifici, curate da Floriana Ciccodicola, Angelica Fago, Vincenzo Moggia e Lina Sturmann, come segue:

1 – Identità di genere – Vincenzo Moggia e Lina Sturmann

2 – Diritti dei migranti – Floriana Ciccodicola e Angelica Fago

Proposte bibliografiche:

Amartya Sen, L’idea di Giustizia, Mondadori, Milano, 2011.

Fabrizio Barca e Patrizia Longo, Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale, Il Mulino, Bologna, 2020.

Gustavo Zagrebelsky, La Lezione,Einaudi, Torino, 2022.

Antonio Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 2004.

Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, con Prefazione di Gianni Vattimo, Laterza, Bari, 1988.

Gino Strada, Viaggio dentro la guerra, Feltrinelli, Milano, 2015.

Gherardo Colombo, Sulle regole, Feltrinelli, Milano, 2008.

Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Bari, 2020.

 

Scheda 1 (“SASL” 1-2 2024)

Lo spettro arcobaleno: l’identità di genere

 

Il concetto di “genere”, dall’ambito strettamente linguistico (genere grammaticale), è stato cooptato nel linguaggio delle scienze umane e sociali in un processo iniziato dal sessuologo John Money, che in una memoria del 1955 coniò l’espressione gender roles, “ruoli di genere”, a significare tutti quei comportamenti, verbali e non, con cui «una persona esprime il proprio status di ragazzo/uomo o di ragazza/donna». A questo concetto si ispirarono gli psichiatri Robert Stoller e Ralph Greenson per coniare, nel 1963, l’espressione gender identity, “identità di genere”, intendendo con essa «il senso di appartenere al proprio sesso, ossia la consapevolezza ‘io sono un maschio’ o ‘io sono una femmina’» (6). Da allora la distinzione tra “sesso” e “genere” ha visto una rapida e sostanziale evoluzione, a partire dall’ambito delle ramificazioni della critical theory statunitense (1,3,12).

L’elaborazione dell’identità di genere è proseguita fino a definirne due modelli principali, apparentemente incompatibili tra loro. Nel primo (7) essa è definita una caratteristica «intrinseca, interiore e profondamente percepita», una sorta di “spettro nella macchina” (negando quindi l’idea del “genere” come categoria socialmente appresa), del tutto svincolata dal sesso in quei soggetti portatori della condizione un tempo nota come transessualismo (fino al 2013 concepita come patologica, ora ribattezzata transgenderismo e sovente considerata una normale variante umana (2)). Nel secondo modello (5,10) l’identità di genere ha natura di puro costrutto sociale, convenzionale e addirittura meramente «performativa», e perciò è modificabile a piacere, anche col ricorso a farmaci e innesti tecnologici. Parallelamente è cresciuta una critica comune ai vari ambiti accademici che verte sulla contraddittorietà, l’arbitrarietà, o la circolarità, di simili concezioni del “genere”, facendole risalire a moventi ideologici più che a evidenze scientifiche (8,9,13).

Ma la questione coinvolge e interroga direttamente la società tutta: dalle istituzioni mediche a quelle dell’istruzione, da quelle militari e sportive al legislatore (4). I problemi connessi alla gender identity sono molteplici ed estremamente complessi, toccando discipline che vanno dall’epistemologia all’antropologia fisica e culturale (11), dalla psicologia alla medicina all’analisi sociale, passando per la biologia e le neuroscienze. Cosa ci insegnano la ricerca storica, sociologica, antropologica in merito ai “ruoli di genere” e alla loro espressione? I “ruoli di genere” di uomini e donne sono pure convenzioni socialmente adottate, o sono in parte radicati nella biologia profonda? La cosiddetta “disforia di genere” va considerata una condizione patologica o meno, e quali tipi di interventi sono da preferire? Entro quali limiti il legittimo richiamo a istanze di giustizia sociale deve poter influenzare il dibattito scientifico e culturale? La presente call for papers è aperta a contributi che affrontino il problema sotto una qualunque di queste discipline e prospettive, con scadenza per la presentazione al 31 maggio 2024.

- a cura di Vincenzo Moggia e Lina Sturmann

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

1. AA.VV., The New Science of Sex and Gender. In Scientific American 317, 3, 2017.

2. AA.VV., International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems 11th Revision. WHO website, https://icd.who.int/en, 2022.

3. Claire Ainsworth, Sex Redefined. In Nature 518, 288–291, 2015.

4. Ryan T. Anderson, When Harry Became Sally. Responding to the Transgender Moment, Encounter Books, 2018.

5. Judith Butler, Gender trouble: Feminism and the subversion of identity, Routledge, 1990.

6. Alex Byrne, The Origin of “Gender Identity”. In Archives of Sexual Behavior, Jun 5 2023.

7. Coleman et al., Standards of Care for the Health of Transgender and Gender Diverse People, version 8. In International Journal of Transgender Health, vol. 23 no. S1, 2022.

8. Marco Del Giudice, Ideological Bias in the Psychology of Sex and Gender. In Ideological and Political Bias in Psychology: Nature, scope, and solutions (cap. 28), Springer, 2023.

9. Goymann et. al., Biological Sex is Binary, even though there is a rainbow of sex roles. In BioEssays, vol. 45 is. 2, 2022.

10. Donna Haraway, A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century, 1985. In Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, 1991.

11. Philip L. Walker, Della C. Cook, Gender and sex: vive la difference. In American Journal of Physical Anthropology, Jun 1998.

12. Laurel R. Walum, The Dynamics of Sex and Gender: A Sociological Perspective, Rand McNally College Pub., 1977.

13. Colin Wright, Sex is not a Spectrum. In Reality’s Last Stand, Feb 1 2021.

 

Scheda 2 (“SASL” 3 2024)

L’“Altro” e l’“Altrove”: immaginario storico-culturale e geografico

 

La call che proponiamo per il fascicolo 3 di SASL, con scadenza dei contributi il 31 ottobre 2024, ha come obiettivo l’esplorazione e l’approfondimento di argomenti che coinvolgono diverse discipline, in quanto proponiamo di riflettere e di analizzare i concetti di “alterità” e di “altrove” in senso storico-culturale, religioso, economico, politico e storico-geografico.

Viviamo in un mondo complesso. L’incremento dei flussi migratori, come hanno sottolineato diversi studiosi tra i quali S. Castles e M. J. Miller, che indicano la nostra epoca “era delle migrazioni”, l’aumento dell’interdipendenza economica e dei mercati finanziari, come sottolinea J. W. Moore che afferma che siamo nell’epoca del “capitalocene”, il diffondersi delle tecnologie digitali, sono fenomeni che caratterizzano la nostra epoca e hanno contribuito a ridurre le distanze fisiche tra i popoli e a creare il senso di un mondo sempre più interconnesso, “abituato” alla diversità.

Nella vita quotidiana ci troviamo tuttavia di fronte a situazioni paradossali caratterizzate dalla crescita dell’intolleranza culturale e religiosa, dall’aumento di discriminazioni, dalla paura e chiusura di fronte a chi si presenta diverso, dalla creazione di cosiddette “piccole patrie”, molto spesso immaginarie. La risposta a questi cambiamenti è stata data da molte comunità e dalle scelte politiche di molti Stati con un rafforzamento delle identità nazionali e locali, con conseguente riemergere di atteggiamenti xenofobi, nazionalisti, di marginalizzazione dell’“Altro” concepito come una minaccia piuttosto che un’opportunità di arricchimento culturale. Questi fenomeni rappresentano una sfida per la società occidentale contemporanea, fondata sui diritti umani, e sollecitano la necessità di effettuare un’analisi approfondita delle dinamiche sociali, culturali, giuridiche e politiche che li producono. Si innalzano sempre più barriere culturali, le frontiere degli stati diventano invalicabili, la chiusura verso gli “altri”, un obiettivo politico da raggiungere per molti.

Per questa ragione è importante ripensare categorie come l’“altro” e l’“altrove” e riflettere sullo “scandalo”, come scrive Ernesto de Martino, che suscita, se non siamo ben preparati, l’incontro con il “diverso”, con l’“altro” portatore di proprie e specifiche visioni del mondo, di “diversità culturali”. È necessario ripensare i concetti di immaginario storico-culturale e geografico i cui contenuti condizionano ancora oggi i nostri rapporti con l’“alterità”, ripensare allo smarrimento che l’alterità suscita, uno smarrimento che condiziona le dinamiche storico-sociali in cui siamo immersi e la nostra rappresentazione del mondo, il modo in cui rappresentiamo gli “altri” e come gli altri ci rappresentano.

L’“altro” e l’“altrove” sono rappresentati nella nostra società della ipercomunicazione attraverso immagini stereotipate. È necessario riflettere su questi due concetti, l’“altro” e l’“altrove”, riconsiderare  l’“altro” come soggetto di un dialogo interculturale e l’“altrove” come luogo di scoperta e di confronto e come tema centrale di “geografie immaginarie e simboliche”. Essenziale è concepire la diversità culturale, religiosa, economica, politica e giuridica come condizione storica dei gruppi sociali e come modalità originale del loro esserci nel mondo. Diventa sempre più urgente affrontare con strumenti idonei le analisi di quei percorsi che hanno portato alla percezione distorta dell’“Altro” e dell’“Altrove” fondati su ideologie semplificate e riduzioniste che ignorano la complessità e la ricchezza delle identità culturali.

- a cura di Floriana Ciccodicola e Angelica Fago

BREVE BIBLIOGRAFIA

B. Anderson, Comunità immaginate, Manifesto libri, Roma, 1996.

M. Bernal, Atena nera. Le radici afro-asiatiche della civiltà classica, Il Saggiatore, Milano, 2011.

S. Castles e M. J. Miller, L’era delle migrazioni, Odoya, Città di Castello, Perugia, 2012.

E. de Martino, La fine del mondo, Einaudi, Torino, 1977, rist. 2019 (cura di M. Massenzio).

Erodoto, Storie, 2 voll., UTET, Torino, 2014.

S. Giusti, Antropologia storica, EI, Roma, 2000.

S. Giusti, Antropologia storica e identità. Spazi di ambiguità culturale e programmi di verità, in “SASL”, n. 1-2 , 2007.

Francois Hartog, Memorie di Ulisse. Racconti sulla frontiera nella antica Grecia, Einaudi, Torino, 2002.

K. Modzelewski, L’Europa dei barbari, Bollati-Boringhieri, Torino, 2008.

J. W. Moore, Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, Ombre Corte, Verona 2017.

E. Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano, 2013.

M. Liverani, Oriente e Occidente, Laterza, Bari, 2021.

G. Mazzoleni, Da Erodoto al globale, Bulzoni, Roma, 2007.

G. Traina, I Greci e i Romani ci salveranno dalla barbarie,  Laterza, Bari, 2023.

 


 

Call for papers

per la Rivista «Storia Antropologia e Scienze del Linguaggio» 2023 sul tema:

Il Mediterraneo come luogo di scambi, interazioni e contaminazioni: un laboratorio di culture

 

Per una riflessione sul rapporto tra antropologia e storia si potrebbe cominciare a contenere il nostro sciovinismo greco e con esso l’idea del “miracolo greco”, pensando che le radici della cultura greca si trovino in Egitto e in Fenicia, quando i Pelasgi dell’Arcadia montuosa erano ancora selvaggi.     

         Secondo Tucidide è il commercio dei Fenici che prima dei Greci costituisce una koinè mediterranea, e sappiamo che secondo Diodoro, nel V secolo, i Cartaginesi già possedevano terre in Sicilia. L’Egitto omerico è ancora magico, ma è anche pieno di piante medicinali e di medici.

          Francois Hartog, tuttavia, attribuisce il merito della conoscenza alla caratteristica inquietudine dei greci e alle risposte che essi hanno dato a questa inquietudine, considerando la Grecia una frontiera da attraversare e puntando lo sguardo su se stessi e sugli altri. La caratteristica della mentalità greca è la risposta alla loro inquietudine, cioè la conoscenza.

         Nel Mediterraneo c’è la misura del cambiamento che sta alla base del meticciato che continua ad operare nella plurimillenaria predisposizione umana ad incrociarsi, da quando i nostri antenati uscirono dall’Africa. E gli storici ci risvegliano dal sonno dogmatico di una etnografia nostalgica di culture cristallizzate, aiutandoci a scoprire la continuità del cambiamento. Se dal punto di vista delle logiche identitarie è la memoria che seleziona il passato e contribuisce a cementare le appartenenze, è l’idea statica di identità culturale ad alimentare etnocentrismi e xenofobie, perché si basa sul concetto biologico di razza e non sul concetto di identità storica.

         David Abulafia ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa umana che ha contribuito a plasmare il corso della storia mediterranea e la centralità di coloro che hanno solcato questo mare.   “A tous  les acteurs méditerranées (micenei, fenici, greci, cartaginesi romani, bizantini, arabi) nous devons l’invention de l’individu et la création e la Cité avec ses structures et ses institutions” (H. Fantar).

         Per Abulafia le vere protagoniste sono le città portuali con il loro cosmopolitismo del quale si dovrebbe riconoscere l’ambiguità, in quanto rimane intrappolato nella tensione tra il riconoscimento delle differenze e del pluralismo e l’individuazione di valori universali.

         Le strutture e le congiunture socio-economiche che hanno favorito le convivenze di popoli diversi nelle città portuali mediterranee si presentano come veri e propri laboratori antropologici.  Infatti le migrazioni portano alla luce “quanto si agita nel profondo delle società, sia di quelle di origine che di quelle di arrivo” e, a questo proposito, non dimentichiamo Michele Amari il quale parlava di Arabi di Sicilia, e non in Sicilia, per sottolineare il sincretismo delle culture che avviene nei processi di migrazione e che coinvolge anche l’entroterra, ne sono esempi la Sicilia di Federico II e la Livorno dei Medici.

 

Bibliografia minima

 

D. Abulafia, The great sea. A Human History of the Mediterranean, Oxford University Press, New York, 2011.

M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, 1854.

L. Amselle, Logiche meticce. Antropologia dell’identità in Africa e altrove, Boringhieri, Torino, 1999.

M. Bernal, Atena nera. Le radici afro-asiatiche della civiltà classica, Il Saggiatore, Milano, 2011.

J. Berard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell’Italia medidionale, Einaudi, Torino, 1971.

F. Braudel, La Méditerraneè et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, A. Colin, 1949.

L. Canfora, Mediterraneo, una storia di conflitti, Castelvecchio, Roma, 2016.

F. Hartog, Memorie di Ulisse. Racconti sulla frontiera nell’antica Grecia, Einaudi, Torino, 2002.

É. Horden e N. Purcell,  The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Blackwell, Oxford, 2000.

Ch. Picard, Sea of the Caliphs, Harvard University Press, 2018.

Cfr. anche “Storia Antropologia e Scienze del Linguaggio”, 2-3, 2018.

 

 


 

Call for papers

per la Rivista «Storia Antropologia e Scienze del Linguaggio» n.1-2 2022 sul tema “Il pensiero simbolico”. 

Riprendiamo la nostra ricerca antropologica e, con il salvataggio della Rivista “Storia Antropologia e Scienze del Linguaggio” (d’ora in avanti “SASL”), proponiamo di avviare un dibattito attraverso singoli contributi (al massimo 10 cartelle editoriali) da pubblicare su “SASL” nel corso dell’anno 2022.

Tenendo conto che i fascicoli di “SASL” escono due volte l’anno - primo fascicolo a giugno e secondo fascicolo a dicembre - i saggi dovranno pervenire in Redazione Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  entro il mese che precede la stampa di ciascun fascicolo (cioè maggio, oppure novembre).

Diamo in sintesi alcuni punti di discussione relativi al tema che proponiamo: Il pensiero simbolico:

Per Detienne l’attività storica di Tucidide è uno dei luoghi in cui si produce la “frattura” fra la favola della mitologia greca e il campo del sapere storico, il suo territorio concettuale, dal quale il mythôs è escluso e che si fa carico di un altro modo di raccontare. La mitologia, che tratta di un mondo fantastico, è la via del simbolismo, della ricerca di una indicibilità che il discorso razionale non può enunciare.

Ma la funzione simbolica è intesa come “fabbrica di senso … che si interpone sempre e necessariamente fra mondo pensato e mondo vissuto … invisibile tela di fondo” (C. Lévi- Strauss) sulla quale gli antropologi cercano di ricostruire le ragioni delle diversità culturali e il loro rapporto con il mondo.

Se pensiamo alla “distinzione tra umanità e animalità o tra cultura e natura come una delle primarie occupazioni del pensiero umano primitivo” (Leach) e proseguiamo fino al dibattito attuale sul pensiero  simbolico, ci troviamo di fronte a modi diversi di procedere e diverse  ipotesi da sostenere, aventi in comune un’idea, che “l’ordine che scopriamo nel mondo è qualcosa che noi imponiamo e che l’uomo ha scelto di ordinare il mondo  in modi diversi in maniera completamente arbitraria” (Leach).

Da una parte lo storicismo umanistico che affonda le sue radici in Vico e che in Italia si è affermato con la Scuola Romana di Pettazzoni e Brelich, l’ “etnocentrismo critico” e la “destorificazione mitico-rituale” di E. De Martino;  dall’altra, le tesi dell’inconscio collettivo e degli archetipi nei contributi di Jung, Kérenyi, Eliade e lo strutturalismo i cui maggiori rappresentanti sono Lévi-Strauss, Foucault e Lacan. 

Questo può essere il quadro approssimativo delle prospettive teorico-metodologiche nelle quali il pensiero simbolico è analizzato. Nel primo caso ci sono gli storici che intendono la storia come una faccenda di rapporti che l’individuo - come soggetto sovrano - stabilisce con le istituzioni; dall’altro, studiosi che si chiedono in che senso la mente umana sia libera e che presuppongono piuttosto una “radice nascosta”, per cui le attività umane sono solo apparentemente libere e che viceversa dipendono da un pensiero anonimo, inconscio, condiviso, che smentisce la presenza di un soggetto della Storia e che, per Lévi-Strauss, per esempio,  è “il luogo della traducibilità delle culture”.

Bergson, ha definito l’uomo “una macchina che fabbrica gli dei”, “Eppure, commenta Bastide, quando li vedo passare, gli uomini, di ritorno dal lavoro, con le spalle dondolanti, le braccia ciondoloni, il passo strascicato, mi dico che queste macchine sono ben arrugginite, ben stremate per riuscire ancora a fabbricare degli dei … e nonostante ciò riescono a fabbricare dei”. Bastide si pone la questione se, forse, “tutto questo non è che la manifestazione di un archetipo iscritto nella natura umana, come vuole Jung, ovvero nella storia dell’umanità, come vuole Eliade”: quasi una categoria a priori di tipo kantiano, - l’ “immaginazione creativa” che ordina il caos e il disordine e che si trova nella mitologia dei popoli, da quelli del mondo antico ai popoli dell’Oceania. “Allora permettetemi, scrive ancora Bastide, di vedere in queste esperienze di sacro selvaggio … la volontà di riprendere il gesto di Mosè quando colpiva con la sua verga il suolo arido per farne scaturire l’acqua che fa rifiorire i deserti” nel tentativo umano di possedere il mondo.

Rimane ancora da considerare la conclusione provocatoria di Foucault: “E’ necessario che ci si rassegni ad assumere nei confronti dell’umanità una posizione analoga a quella assunta verso la fine del XVIII secolo, nei confronti delle altre specie viventi, quando ci si è accorti che esse non funzionavano per Qualcuno – né per se stesse, né per l’uomo, né per Dio, ma funzionavano, e basta … Bisogna che ci rassegniamo ad ammettere che sono giustificazioni. L’umanesimo è una di queste, l’ultima”.

Bibliografia minima

R. Bastide, Il sacro selvaggio, Jaca Book, 1977.

H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, 1932.

E. De Martino, Il Mondo Magico, Einaudi, Torino 1948.

M. Detienne, Ripensare la mitologia, in M. Izard e P. Smith, La funzione simbolica, Sellerio, Palermo, 1988.

M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano, 2016.

C.G. Jung, (1971) L. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino, 1972.

E. Leach, Introduzione a C.  Lévi-Strauss. Strutturalismo del mito e del totemismo, Newton Compton, Roma 1975.

C. Lévi-Strauss, (1971) L’uomo Nudo, Il Saggiatore, Milano, 1974.

 


 

Call for papers

per la Rivista «Storia Antropologia e Scienze del Linguaggio» n.1-2 2021 sul tema “Antropologia e Letteratura”. 

La scadenza per la presentazione dei saggi è il 30 giugno 2021; la lunghezza dei saggi è non più di 10 cartelle.

In un momento in cui la crisi pandemica ha messo in evidenza la fragilità del nostro sistema, le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, ci sembra sempre più necessaria una riflessione critica e storico-antropologica intorno al tema Come gli uomini si raccontano e come costruiscono la storia attingendo alle forme di espressione letteraria. Questa riflessione ci permetterà di misurare l’importanza della responsabilità individuale nella storia, costruita, pensata e narrata dagli uomini.

Nell’attitudine umana di raccontarsi, infatti, si esprime “l’immaginazione produttiva” kantiana, un prodotto intellettuale capace di interpretare la vita, di riflettere sulla condizione umana e capace anche di immaginare, e a volte lottare, per realizzare un mondo diverso.

La riflessione intende collocarsi nel solco di un neoumanesimo attivo, che metta in primo piano il valore dell’uomo e della dignità della vita umana, e che miri a salvaguardare come patrimonio culturale non solo i fatti umani accaduti e sofferti, ma anche l’interpretazione e la rappresentazione simbolica che ne è scaturita.

L’invito è ad esplorare gli elementi compositivi dei testi nei diversi generi letterari di poesia e prosa (narrativa, autobiografia, memorialistica, storiografia, etnografia, diritto), considerando il fenomeno estetico- letterario soprattutto come prodotto storico- antropologico.

P.S. I saggi presentati, prima di essere pubblicati, saranno oggetto di dibattito seminariale in modalità online.

I saggi dovranno essere inviati, insieme con l’abstract (6 o 7 righe) e 5 parole chiave, a    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

“Storia, antropologia e scienze del linguaggio” (SASL) intende dedicare una riflessione articolata sul tema “ Il Mediterraneo crogiuolo di popoli  - ponte e frontiera, presente e passato.                             

Storia, antropologia, archeologia sono le grandi modalità del confronto, vie che conducono al necessario e inevitabile distacco da sé per avvicinarsi a culture che non sono le nostre, e con le quali possiamo interagire riducendo le rispettive diffidenze nella convinzione del carattere storico delle civiltà mai conquistate una volta per sempre, ma intese come problemi eternamente nuovi che i loro protagonisti devono affrontare e risolvere. 

Per questa auspicabile strategia è indispensabile ripensare il plurimillenario contributo alla reciproca conoscenza di viaggiatori, storici, filosofi, commercianti, migranti (e anche corsari) che hanno attraversato il Mediterraneo, amandosi e tiranneggiandosi.

Se la conoscenza degli altri è l’unica via per conoscere se stessi, e “le esperienze etnografiche, come scrive Lévi-Strauss in “Tristi Tropici”, spogliano i nostri usi di quella evidenza che il fatto di non conoscere altri, è sufficiente ad attribuire loro”, la compresenza ravvicinata delle diverse genti del Mediterraneo, multietnicoe meticcio, rappresenta la migliore scenografia dove sperimentare la validità di questa tesi.               

In tale contesto si invitano antropologi, bioeticisti, economisti, filosofi, geografi, linguisti, storici a partecipare inviando i propri contributi - che saranno valutati da peerreferees -  entro il 3 settembre, 2018.

I saggi – di lunghezza massima 10 cartelle – dovranno essere inviati, insieme con l’abstract (6 o 7 righe) e 5 parole chiave, a    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

The magazine ”Storia antropologia e scienze del linguaggio” (“SASL”) calls a reflexion on the theme “TheMediterranean – bridge and border, past and present– “

History, anthropology, archeology are the great modalities of comparison, ways that lead to the necessary  and inevitable detachment from onself to approach  cultures that are not ours, and with whichwe can interact by reducing the respective distrust in the conviction of the historical character of the civilizations never conquered once and for all, but understood as eternally new problems that  their protagonists must face and solve.

For this desirable  strategy it is essential to remember the millennial contribution to mutual knowledge of travelers, historians, traders, migrants (end even privateers) who have passed through the Mediterranean, loving each others and  tyrannizing themselves.

If the knowledge of others is the only way to know oneself and “the ethnographic experiences, as Lévi-Strauss writes, strip our uses of that evidence the fact of not knowing others is sufficient to attribute them”, the proximity of the different people of the multi-ethnic and mixed Mediterraneanrepresents the best scenography where to experiment  this thesis.

In such contextwe invite anthropologists, environmentalists, philosophers, geographers, linguists, historians  to partecipate in the papers , that will be evaluated by peer referees, by 3 September 2018.

The papers - of maximum lenght 10 sheets-  will be sent, together with the abstract (  6 or 7 lines)  and 5 keywords,  to Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. om